In una recente pronuncia (ordinanza, n. 25421 del 29.08.2023), la Corte di Cassazione ha affrontato nuovamente il tema del trattamento economico spettante al dirigente incaricato della sostituzione del direttore di struttura, confermando un orientamento ormai consolidato.
Per farla breve, la Suprema Corte ha ribadito che l’incarico di sostituzione non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e del livello unico della dirigenza sanitaria, “sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito, ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine” previsto per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, “dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva, e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.”
In un precedente articolo, alla cui lettura si rinvia (https://www.studiolegaledoglio.it/la-sostituzione-del-direttore-di-struttura-ipotesi-di-abuso-dellistituto-contrattuale-lart-36-cost-come-argine-contro-i-fenomeni-di-politicizzazione-delle-nomine/), si è spiegato perché il ragionamento della Corte non sia condivisibile, rilevando come l’indennità provvisoria non possa considerarsi satisfattiva quando il sostituto assuma pienamente la responsabilità della struttura, attraverso l’assegnazione degli obiettivi di un direttore (e non già quelli tipici del proprio incarico), la negoziazione del budget, un orario lavoro no limits, ecc.
Si è evidenziato come nei casi di abuso dell’istituto contrattuale (che talvolta raggiunge vette insuperabili, nelle non infrequenti ipotesi in cui l’incaricato sia chiamato a sostituire un direttore mai nominato perché la struttura è di nuova istituzione), il trattamento economico debba corrispondere, ex art. 15 ter comma 1, ult. parte, del DLGS n. 502/1992, all’oggetto, agli obiettivi e alla durata dell’incarico che “diventa” diverso da quello già definito contrattualmente.
Non si deve, infatti, perché se gli obiettivi assegnati cambiano (i “diversi” obiettivi del sostituto sono previsti nel contratto d’incarico), il trattamento economico fondamentale debba essere il medesimo. Se poi non fosse titolare di un incarico qualificato, come invece pretendono le disposizioni contrattuali in materia di sostituzione (originariamente, art. 27 CCNL 08.06.2000; nell’attualità, art. 18 CCNL 19.12.2019), il trattamento economico percepito sarebbe ancor meno corrispondente a quello dovuto ex art. 15 ter comma 1, cit.
Depone in favore di siffatta interpretazione anche l’art. 24, comma 1, DLGS n. 165/2001 che, sia pure con riferimento al trattamento accessorio spettante al dirigente, stabilisce che esso deve essere “correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti”, il che rende inspiegabile come la retribuzione del sostituto possa rimanere quello originaria quando mutano sine die le funzioni, le responsabilità e gli obiettivi. Quasi che un’indennità concepita dalla parti sociali come straordinaria, e quindi estranea al trattamento accessorio (tanto da non essere inclusa nelle voci che concorrono a formare la tredicesima mensilità), possa ritenersi onnicomprensiva.
Quanto alla pretesa inapplicabilità dell’art. 2103 c.c., sul presupposto che la dirigenza è collocata “in un unico ruolo, distinto per profili professionali e in unico livello” (art. 15, comma 1, DLGS n. 502/1992), i Giudici di legittimità si soffermano, correttamente, nel riferire che “la qualifica dirigenziale, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico professionale”, ma questo non può certo significare che il principio di equivalenza delle mansioni dirigenziali possa tradursi nel principio di equivalenza di incarichi.
Del resto, la medesima norma precisa che “l’unico livello” è “articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali”, cui deve corrispondere, per l’appunto, un diverso trattamento economico.
Vi è da rilevare che tale ragionamento è stato peraltro fatto proprio (sia pure parzialmente) in Cass. civ., sez. lav., ordinanza del 21.11.2019, n. 30422 , secondo cui “non può considerarsi inadeguato” il trattamento economico corrisposto all’incaricato della sostituzione “comprendente in aggiunta rispetto al trattamento stipendiale dirigenziale in godimento, l’indennità di sostituzione e la retribuzione di posizione che, per sua natura, è destinata a remunerare il lavoro in concreto prestato”.
Sin qui nulla di nuovo dunque.
La novità è rappresentata dal fatto che la Suprema Corte, per la prima volta, si è posta il problema della particolare posizione del direttore facente funzioni “per sempre”, il quale è “gravato di una una responsabilità a cui ordinariamente sarebbe correlato un compenso superiore”.
La soluzione trovata, però, non coglie nel segno.
La Corte osserva, infatti, che se l’incarico provvisorio prorogato oltre i termini di durata della sostituzione venisse “normalizzato” sul piano retributivo, sarebbe evidente il pericolo di abuso nei confronti di tutti gli altri aspiranti al ruolo di direzione: la proroga per un tempo indefinito, accompagnata dalla remunerazione del ruolo di direzione, potrebbe divenire un modo per aggirare “le norme imperative che, anche nell’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, prescrivono adeguate procedure competitive per la scelta del dirigente titolare”.
Aggiunge poi la Corte, per giustificare l’adeguatezza della remunerazione percepita dal sostituto e con essa l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost., che, in questi casi, il pagamento della sola indennità sostitutiva non sarebbe affatto ingiustificato perché i dirigenti “titolari”a differenza di quelli “provvisori” vengono nominati in esito ad una procedura selettiva.
Tralasciando quest’ultimo argomento che, se applicato in generale, impedirebbe sempre di riconoscere il diritto alle differenze retributive nei casi di svolgimento delle attività tipiche di una qualifica superiore, a cui è possibile accedere solo in esito ad una procedura selettiva o concorsuale, anche il primo appare fuor d’opera.
Appare singolare, infatti, che la Corte si soffermi sul pericolo di abuso derivante dalla normalizzazione dell’incarico provvisorio sul piano retributivo, senza chiedersi perché le Amministrazioni non abbiano dato corso negli anni alla procedura per la copertura del posto vacante.
Non di rado, infatti, l’incaricato sine die della sostituzione, inspiegabilmente (sul solo piano giudico, s’intende), non ha potuto partecipare alla procedura per la copertura del posto vacante che l’Amministrazione, in palese violazione delle disposizioni contrattuali, ha colpevolmente omesso di avviare o di completare, avvantaggiandosi negli anni di una prestazione retribuita in misura insignificante rispetto alle responsabilità assunte ed ai risultati raggiunti dal direttore facente funzioni.
Questo sì che è il vero abuso dell’istituto contrattuale.
@giacomodoglio